Polin ("Frédi")

polin“Adì 11 Aprile 1697. Paulo figlio di Valentin Pullin e di Cattarina sua legitima consorte, natto hoggi a hore 16 in circa, fu battezzato da Rev.o D.on Pietro Maria Brocchi. Comare Antonia, moglie di Mattia Barbisan di Paese”. Così è riportata nell’archivio Parrocchiale di Paese (Treviso – Italia) la nascita del capostipite del clan dei “Frédi”, uno fra i più radicati e diffusi del territorio comunale, diramatosi negli ultimi cinquant’anni anche in varie parti del mondo, soprattutto in America settentrionale. A metà del XVII secolo c’era Valentino (1660 ca.) e la sua sposa Cattarina, che generarono Paulo (1698) sposato con Catarina, i quali generarono Valentin Filippo (1737) che si unì ad Angela Bresolin, che generò Carlo (1772) marito di Angela Nicoletto, che gli diede Faustino (1803) che, presa in sposa Regina Pavan, fece venire al mondo Carlo (1831), Luigi (1834), Giuseppe (1837), Angela (1845), e Angelo (1848). Morti prematuramente Luigi e Angela, furono Carlo, Giuseppe e Angelo i precursori di tre importanti diramazioni dei Polin, una generazione di villici (contadini), probabilmente originaria da Volpago del Montello, che, si dice, anche in giugno andavano nei campi con l'immancabile "tabàro", da ciò il nomignolo di "Frédi". Dove abitassero in origine i precursori della famiglia Polin non è noto con certezza; si sa però che agli albori del 1800 erano ubicati in una casetta, lungo la stradina di fronte all’attuale Club degli Spaghetti, alle dipendenze degli Algarotti. In seguito, ottenuta la fiducia dei padroni, poterono trasferirsi in un rustico della quattrocentesca “Casa Quaglia”. Un nuovo trasferimento avvenne nel 1912, quando fu eretta la maestosa casa colonica dietro l’attuale Villa Algarotti-Quaglia; ma non vi andò Giuseppe che nel frattempo aveva acquistato una casa a Sovernigo e nemmeno il nucleo di Carlo, che rimase nella barchessa. Carlo si unì a Pasqua Maria Nasato (“Moretèi”), che gli diede Maria Luigia (1859), tenuta al fonte battesimale da Angelo Zanoni; poi Angela (1862); Faustino (1866), il cui padrino di battesimo era Luigi Mazzero; ancora Angela (1868); e Pietro (1870). A dare nuovo impulso a questa discendenza fu Faustino con i figli: Abramo (1890-1970) coniugato una prima volta con Emilia Barbisan (“Bini”), che lo rese padre tre volte prima d’andare all’altro mondo, si risposò con Adele Bettiol da cui ebbe altri due discendenti; c’era poi Luigi (1894-1934), che mise famiglia con Brigida Maria Gardin generando quattro consanguinei; Carlo (1900) che aveva sposato una Lucchese, generando pure quattro figli; nacquero poi Luigia Maria (1896) e Margherita (1903); quindi Silvio (1905), emigrato a Detroit (U.S.A.). Dal matrimonio di Abramo ed Emilia Barbisan arrivò Giovanni che, unitosi a Genoveffa Grespan (“Vaintinéti”), ebbe una discendenza di otto individui; fratelli di Giovanni erano Gino e Maria detta “Cèa”, che si fece religiosa francescana assumendo il nome di Suor Attilia per espresso desiderio del parroco mons. Attilio Andreatti. Margherita, la penultima dei discendenti di Faustino e Rosa Dotto (1869), si era sposata a diciannove anni con Secondo Pistore, da Santa Maria di Sala (VE), al quale diede Lino e Gina prima di rimanere vedova. Rimasta sola, tornò nella famiglia d’origine per desiderio di suo padre, che occupava la quattrocentesca “Casa Quaglia”. Fausto che aveva bisogno di un aiutante fece venire in famiglia anche Alberto, fratello del defunto marito di Margherita. Sei anni dopo Margherita sposò il cognato in seconde nozze, mettendo al mondo altri cinque figli: Giancarlo, Rosetta, Aldo, Luisa e Silvana; un sesto bimbo morì infante. A convincere “Rita” a risposarsi era stato il parroco don Attilio, consapevole dell’insostenibilità della situazione familiare che già annoverava tre figli sposati in casa di Faustino. Fu lo stesso sacerdote ad offrirle due stanze nella casa già canonica, abitata dai Milanese (“Priàmi”), di proprietà della Curia. Rita tuttavia temeva la pubblicità di quell’evento che a quei tempi destava la pubblica meraviglia, tanto che, quando si veniva a sapere che una vedova si risposava, la sera prima si battevano i coperchi delle pentole sotto casa perché tutti lo sapessero. Il parroco, persona dalle accentuate qualità umane, per evitarle l’umiliazione fece andare in chiesa i due promessi all’alba, in tutta riservatezza, prima della messa e li unì in matrimonio. Ma non era mancato un colpo di scena; uscendo di casa avevano incontrato il nipote Gino, che era solito alzarsi per andare a vendere il latte: “Dove andate a quest’ora?”, aveva chiesto loro…

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