A correr dietro a tutti i “Searìni” non basterebbe un libro. Questo pertanto è solo un nuovo capitolo che segue a quello pubblicato nel primo volume. Il capostipite era un certo Severin De Severìni, nato nel 1644 e poi convolato a nozze con Domenica Di Steffani. Furono questi i progenitori di una lunga stirpe che si propaga tuttora con nomignoli diversi, non solo in Paese, ma anche in varie parti del mondo. Si hanno in proposito parecchie testimonianze. Una di queste conduce a Ernesta Giuseppina (1881), figlia di Abramo Severin (1858) e di Elisa Maria Milanese (1860) che, il 25 febbraio 1905 si era coniugata a Paese con Luigi Claudio Badesso (1880) da Castagnole, nato a Fanzolo da Fioravante di Giuseppe e Giovanna Bressan. Questi negli anni che precedettero la Grande Guerra, precisamente nel 1907, con il cognato Giordano Feltrin, emigrarono in Canada dove prolifica la loro discendenza. I Badesso abitavano a Castagnole nel borgo Infaladel, in una dépendance della quattrocentesca Casa Leoni-Piazza. Fratelli di Luigi erano Giuseppe, emigrato in Australia nel 1887, Bartolomeo (1878), Clorindo, Isabella, Maria (1883), Giorgio (1885), Giordano Giulio (1887), e forse altri. Con il tempo tutti se ne andarono da Castagnole. Alcuni loro discendenti ora vivono a Grosseto. Pure in Postioma c’erano i Badesso; si trattava della famiglia di Francesco e Margarita Pagnossin, genitori di Teresa Maria (1881), di Maria (1883), di Virginio Giovanni (1886) e di Giovanna Amabile (1892). La loro interessante storia sarà ripresa nel prossimo volume. Il ramo dei “Searìni” che si vuol qui trattare è quello che partendo da Sovernigo arriva a Padernello per lavorare una ventina di campi di terra da fittavoli della famiglia Onesti di Paese (Treviso-Italy). I Severin oltre alla terra occupavano anche la casa in Via Marzelline, nei pressi del “majo” dei Miglioranza (“Pitèri”). Abitavano isolati in mezzo alla campagna, dove d’estate si udiva il frinire delle cicale e di notte l’ininterrotto cri-cri dei grilli. Con il cinguettìo degli uccelli, erano gli unici suoni che tenevano loro compagnia. Per arrivare all’abitazione si doveva imboccare una stradina campestre sulla destra prima del majo e percorrerla per alcune centinaia di metri. La casa era una tipica residenza rurale con tre archi, quattro camere, la cucina, le stalle, il fienile con il benòto e il granaio. Un ambiente che, nei primi decenni del secolo scorso ospitava ben ventidue persone, tutte riunite sotto lo stesso tetto. Severino ce la metteva tutta per far rendere quella terra, ma pare che si fosse dimenticato di mandare le onoranze al padrone o forse qualcuno era più raccomandato di lui, fatto sta che un brutto giorno novembrino si presentò il fattore per dirgli che non gli era rinnovato il contratto. Fu una vera mazzata; ma quando mai queste cose intenerivano i padroni? Bastava un loro fischio o un gesto della mano e i poveri braccianti dovevano fare fagotto, in altre parole raccogliere il pajòn, la cesta con qualche gallinella, due cenci e andarsene senza che nessuno li tutelasse. Ai padroni interessava il massimo profitto e non mostravano tentennamenti con i subalterni. In fondo, quale migliore occasione di questa circostanza per dimostrare la loro superiorità e contemporaneamente dare un ammonimento agli altri? Non sappiamo se anche gli Onesti la pensassero così. La storia però ci dice che generalmente erano la nobiltà ed una certa borghesia ad avere il coltello per il manico; una supremazia che durò fino all’avvento della rivoluzione industriale, quando i nobili furono estromessi dalla loro stessa incapacità di riconvertirsi. La stragrande maggioranza di loro rimasero nella convinzione di appartenere ad un mondo diverso anche di fronte all’incedere del progresso. Con la rivoluzione industriale spariva quindi quella che era stata fino ad allora la classe dominante, che conobbe una sua emigrazione, ma in sordina. Preferì infatti cambiare aria piuttosto che vedersi ridimensionata ed umiliata dalle masse che aveva sempre tiranneggiato. Basta considerare le tante nobili residenze disperse nella campagna veneta, anche trevigiana e anche paesana, silenziose testimoni di un periodo insoluto, rivalutate grazie al recupero di enti locali o di privati. Un tempo in quella casa di Onesti coabitavano quattro fratelli Severin, sposati sotto lo stesso tetto: Severino Pasquale (1865), che si era unito a Domenica Minello (“Zuliani”, 1867) da Sovernigo; Luigi (1866), coniugato con Luigia Pavan da Paese; Giovanni, marito di Annetta Trombetta (“Muraro”) da Sovernigo; e Vittorio (1876), sposato con Teresa Cason da Postioma. Le Loro sorelle erano Angela Maria (1868) e Caterina Cristina, la più giovane, nata nel 1881. Erano tutti figli di Pietro (1841) “Searìn” da Paese e di Giovanna Cavallin. I due s’erano uniti in matrimonio il 3 gennaio 1864, nella chiesa del paese di lei: S. Cristina di Quinto. I loro figli vennero al mondo a Paese, probabilmente in quel di Sovernigo dove abitavano i “Searìni”. Il precursore, nato intorno al 1690, si chiamava Zuanne Severino ed era coniugato con una certa Lucia, della quale non si conosce il casato. Potrebbe derivare da quest’antenato il cognome Severin o da un omonimo precedente. Di fatto i Severin sono attualmente diffusi in un’ottantina di comuni italiani, principalmente nel Settentrione, escluso il Trentino Alto Adige e la Val d’Aosta, ma inequivocabile appare la loro origine trevigiana, probabilmente proprio di Paese, per poi diramarsi nelle zone tipiche dell’emigrazione dei Veneti, in particolare Piemonte e Lombardia, ma anche Lazio; nuclei minori si trovano pure in Friuli, Emilia-Romagna e Toscana. Molti hanno preso la via delle Americhe dove tuttora fioriscono alcuni rami…