La famiglia Vendramin di Paese (Treviso) - Italy, originaria di Venezia, vanta una storica longevità, risalente almeno al XVII secolo. Uno dei rami di questo casato è ancora soprannominato “Bomba”, nomignolo attribuito a Ferdinando Vendramin (1850-1928) per quel suo irresistibile modo di raccontare le barzellette. Abitava accanto alla chiesetta di Sovernigo. La moglie, Sofia, gli diede quattro figli: Emilio, Felice, Ettore e Antonio (1899-1952). Emilio (1885-1939), con la moglie Emma Mardegan (1891-1971) e la figlioletta Gina di appena un anno, emigrò in Argentina nel 1912. Ritornato quattro anni dopo costruì la sua dimora in Via 24 Maggio. Si trattava di una modesta casupola di poche stanze dove vivevano nove persone: genitori e sette figli, oltre a Gina (1911-91), Antonio (1914), Alessandra (1916), Amabile (1922-57), Pietro (1926-88), Alberto (1932-64) e Italo (1935). Il primo forno da pane si deve al figlio Antonio, sposato a Vittoria Pasinato, che lo costruì dopo un periodo da emigrante in Argentina. Papà Emilio era uno stacanovista, faceva il doppio lavoro di panettiere e muratore. Si alzava alle tre del mattino per impastare il pane e alle otto era già a cavallo della sua bicicletta per altra destinazione. Morì per deperimento all’età di soli cinquantatrè anni. A condurre il forno, mentre i figli maschi erano partiti per la guerra, ci pensò Emma con le figlie. Erano tempi di fame, ma un pezzo di pane non si negava mai a nessuno. Mamma Emma, anche se pane da vendere non n’aveva più, lo toglieva dalla tavola per condividerlo con chi n’aveva bisogno. Sul cortile dei Vendramin c’erano sempre delle cataste di legna tagliata sul Montello. In tempo di guerra, all’interno vi erano ricavati degli spazi dove alcuni giovani si rifugiavano per evitare i rastrellamenti nazisti. Talvolta, sotto il fieno del carretto che faceva la spola con il Montello, erano nascoste delle armi per i partigiani. Il pane prelevato al forno era annotato su un libretto, che si onorava al momento del raccolto. Spesso, di fronte all’indigenza di alcune famiglie, i Vendramin tiravano sopra una bella croce. A fabbricare il pane talvolta prestavano la loro opera anche dei giovani di Sovernigo, ad esempio i Becevello (“Rasmi”) e i figli di Giovanni Pozzebon. Si alzavano a mezzanotte per questo lavoro che era svolto tutto manualmente; si metteva poco lievito e poco sale, ma la fragranza era assicurata perché era condito di tanta passione. Alle cinque del mattino già passavano per il forno i contadini che si recavano nei campi. Quattro erano i forni a Paese: Porato in Via San Luca; Gino Nasato (“Moretón”) in Via Roma; Vendramin a Villa e questo di cui si parla. Un solo precario filo elettrico assicurava l’energia alle prime impastatrici dei “Bomba”. Passava in mezzo alle acacie e bastava una folata per rimanere al buio. Da tempo il forno dei Vendramin, in Via 24 Maggio, è stato dimesso, ma a continuare la tradizione di panettiere in Via Trieste è ora Romeo, figlio di Pietro. Dei sette figli di Emilio è rimasto Italo, il più giovane, titolare del noto bar-pasticceria in Paese. Italo ha militato con il fratello Pietro nella locale squadra di calcio, che negli anni Cinquanta e Sessanta era davvero in auge. Lasciando Sovernigo, Italo ha buttato alle ortiche il grosso registro dei debitori, cancellando di fatto ogni loro impegno. Quel gesto generoso gli portò fortuna perché l’attività conobbe uno straordinario inarrestabile progresso.