Zaratin (“Sisti”)

zaratin01Tipico cognome veneziano; in provincia di Venezia è tuttora radicata la gran parte di famiglie Zaratin, o Zarattin. In ambo i casi si tratta sempre della stessa famiglia, lo si deduce consultando l’archivio parrocchiale di Padernello di Paese (Treviso-Italy), i cui stessi componenti sono registrati ora in un modo ora nell’altro. Zaratini sono gli abitanti di Zara, capitale della Dalmazia (Croazia), una cittadina sulla sponda orientale dell'Adriatico, che fino allo scoppio del conflitto con la Jugoslavia, assieme all'isola di Lagosta ed agli scogli adiacenti, costituiva la novantaquattresima provincia italiana… Potrebbe trovare origine qui il cognome Zaratin, come del resto Zara, tuttora radicato prevalentemente lungo la costa dell’italico Nordest. A Padernello sono soprannominati “Sisti”. Forse provenivano da una località denominata San Sisto, ma si dice anche che abitassero in una casa di proprietà di una certa Sista. Fatto è che in Padernello giunsero verso la metà del XIX secolo, con Luigi e la sua sposa Maria Simonetto. Anche se non era proprio il caso dei Zarattin, i quali se la cavavano discretamente, quelli della metà dell’Ottocento erano anni di estrema povertà; fame e malattie mietevano tante vite. Nel 1851 i morti in Padernello furono trentuno, solo diciotto nel 1852. Le malattie prevalenti erano lo spasimo e la pellagra. Intere famiglie di mendicanti giravano per i paesi chiedendo qualcosa di commestibile da mettere sotto i denti. Un riscontro in proposito viene dal registro dei morti della parrocchia: “Addì 20 Aprile 1852. Favaro Giovanna di Clemente e di Francesca Ustingher, nativa di Lamon, mendicante ricoverata per carità in casa di Giordano Ceron, d’anni 8 e mezzo, passò all’altra vita ier l’altro all’ore sette della sera ed oggi ne fu tumulato il cadavere nel cimitero Parrocchiale”. I poveri sono sempre esistiti, allora come adesso anche se si finge di non vederli. Scriveva Gandhi: “Dovremmo vergognarci di riposare o fare un pasto abbondante fino a quando vi sia un solo uomo o una sola donna validi senza lavoro e senza cibo”. Un’autentica impennata di decessi si ebbe nel 1855, quando in tutto il territorio scoppiò un’epidemia di “colera fulminante”, così annotava il parroco pro tempore nel giustificare i trapassi. Se a Paese i defunti di quell’anno furono 159, non meno incidenti nella totalità della popolazione furono quelli di Padernello che arrivarono al considerevole numero di 76. Il flagello era scoppiato in piena estate e per evitare il contagio i cadaveri erano sepolti di notte fonda. In quei tempi di ristrettezza, Luigi Zaratin e Maria Simonetto si accasarono da fittavoli nell’edificio colonico dei Calzavara, possidenti d’Istrana, nell’attuale Via Bavaresco a Padernello, per conto dei quali assunsero in carico otto campi di terra. Ai due giovani sposi la voglia di fare non mancava e si prodigavano dall’alba al tramonto per mantenere l’impegno, ma per guardare avanti, oltre all’aiuto del Padreterno, occorrevano nuove giovani braccia. Fecero pertanto venire al mondo sei bimbi: Teresa (1864), Angelo (1866), Giuseppe (1875), i gemelli Angela Caterina e Francesco Giuseppe (1877), per ultima Margherita Pasqua (1883). Come si facesse a tener fede ai patti sottoscritti in epoche in cui non esistevano ancora i macchinari agricoli ed era necessario mantenere un buon numero di quadrupedi da lavoro, è spiegabile solo con l’immane abnegazione e la forza della fede da cui non si prescindeva mai. Il contadino anche quando era flagellato dagli eventi atmosferici non si scoraggiava e tornava a rimboccarsi le maniche perché, comunque andasse, doveva tener fede a varie obbligazioni e balzelli (affitto, quartese, tasse, ecc.). Doveva essere davvero dura la vita. Del resto nasce proprio da questo spirito di sacrificio il modello Nord-Est di zaratin02cui non sia hanno pari riscontri nel mondo. Già con la Serenissima, quando i veneziani conquistarvano il Mediterraneo, i trevigiani preferivano assicurare i sostegni logistici piuttosto che andare in guerra. “Mi no vao a combàtar”… per Venezia, questo detto popolare tipico degli abitanti della Marca risale proprio a quel periodo. Del resto, che i trevigiani fossero dei grandi lavoratori lo possono testimoniare le innumerevoli ville di patrizi veneti sparse nell’entroterra, anche a Paese. Ciò procurava un certo sostentamento alle famiglie di campagna che per conto di questi signori svolgevano vari servizi, imparando nuovi mestieri. Una conferma di ciò viene dal decesso di un operaio addetto alla manutenzione della nobile residenza di campagna dei Loredan nella villa di Villa, così riportata dal parroco pro-tempore di Paese: “11 Giugno 1767. Zammaria figlio di Domenico Ciscato di questa mia Parrocchia jerimattina alle ore 13 ca. precipitò dalla cima del Palazzo di Ca’ Loredan, ove stava lavorando, e restò istantemente morto in età d’anni 25 ca., fù licenziato il di lui cadavere dal Sanità della Città di Treviso con suo Mandato, e stamattina fu sepolto in questo Cimiterio alla presenza di me D. Giuseppe Bozza Rettore”. Luigi Zaratin, da responsabile padre di famiglia, non si risparmiava e spesso lavorava anche di notte recandosi ad Istrana a prestar servizio nel macello dei Calzavara. Ciò gli permise di riscattare la terra e mutare in meglio la sua condizione. A dare nuova linfa vitale al ceppo dei Zaratin fu quindi Angelo, nato nell’anno dell’annessione del Veneto al Regno d’Italia. Aveva vent’anni quando sposò Angela Pietrobon. Un amore generoso, passionale e particolarmente prolifico, tanto da generare tredici nuove vite nell’arco di un ventennio…

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