Martin ("Martini) di Rovarè

Martin, un cognome tipico veneto e friulano, deriva dall’antroponimo Martino, nome proprio di persona attribuito per culto del Santo vescovo di Tours, venerato e famoso per aver diviso il mantello con il povero. Originariamente, nei latini era Martinus, ossia consacrato a Marte e divenuto poi nome di famiglia si è diramato con molte varianti: Martini, De Martin e De Martino, Martignon, Martinelli, ma anche Martinazzoli e tanti altri, tanto per citare i più diffusi nel Norditalia. 

La provincia di Treviso si colloca tra le prime posizioni nel Veneto riguardo alla diffusione del cognome Martin, anche se guidano la classifica quelle di Padova e di Venezia. La famiglia di cui si racconta in queste pagine trova origine a Rovaré di San Biagio di Callalta (Treviso) e risalendo di qualche secolo potrebbe essere appartenuta al corposo ceppo di Oderzo. Già quelli di Rovarè da soli erano centinaia di persone, sarebbe perciò assai arduo ripassare la storia di ognuno. Un fatto appare chiaro, e cioè che i Martin e i De Martin sono diffusi nelle medesime località ad indicare un’unica matrice.

Della famiglia di Rovarè si hanno tracce risalenti al 1785 con Nicola (1785) e Giovanna Corsa (1785). Di certo, figlio di questa coppia era Basilio (1817) e, probabilmente, Santo (1810), dal quale si dipartì una lunga discendenza che arriva ai nostri giorni assai diramata. Tra i figli di Santo c’erano sicuramente Domenico (1830) coniugato con Maria Moro (1835), Giuseppe (1840) che si sposò con Anna Salmasi (1840), quindi Florindo (1840) e Marcantonio (1847). Furono questi i progenitori non solo dei Martin di Rovarè, ma anche di Olmi, di Carbonera e di altri paesi, e poi di coloro che decisero di emigrare in Francia, Svizzera, America e Australia: una numerosa compagine che ora parla lingue diverse, ma con un’unica matrice. 

[…] In Rovarè i Martin erano fittavoli di un facoltoso, certo Della Rovare, possidente di Pero di Breda di Piave, al quale annualmente dovevano corrispondere un lauto compenso, dato che lavoravano una cinquantina di campi facendoli fruttare grazie all’impegno di tutte le braccia disponibili. Ognuno aveva il suo incarico specifico, ma il regista era sempre lui, Angelo, che dirigeva a bacchetta la compagine facendola suonare come un’orchestra ben affiatata, una leadership che tutti gli riconoscevano, e fu grazie a questa consapevolezza che i Martin riuscirono a sollevarsi dalla povertà e ad evolversi.

[…] Alla fine dell’ultima guerra mondiale, la comunità dei Martin sembrava un piccolo paese. Soltanto Alessandro non aveva potuto farsi una famiglia perché caduto da eroe nella Quarta Battaglia dell’Isonzo il 12 Novembre 1915, falciato da una raffica di mitragliatrice mentre con i suoi compagni stava tentando di conquistare la trincea “Le Frasche” sul Monte Sabotino (Gorizia).

Erano in tanti in quella casa e si volevano bene, sostenendosi vicendevolmente, condividendo gioie e dolori, fatiche, speranze e i pochi benefici, così non si conobbero particolari crisi coniugali e con il concorso di tutti si riuscì a difendersi dalla fame e a progredire insieme. Ci si sacrificava certo, ma non mancavano le occasioni di festa e quando stagionalmente si svuotava la concimaia del letame, che veniva sparso nei campi per fertilizzare la terra, quello stesso sito, opportunamente lavato, si trasformava in piattaforma da ballo dove i Martin, contravvenendo agli ammonimenti del parroco, sfogavano la voglia a lungo repressa di dimenticare sofferenze e privazioni, ballando al suono dell’armonica a bocca di Giordano, ottavo degli undici figli di Vittorio e Regina. Ci si divertiva senza abusi, senza mai trascendere in sconcezze e atteggiamenti libertini, perché la moralità era un valore autentico, inoltre a vegliare sull’onorabilità delle figlie c’erano le mamme che non le perdevano mai di vista, dato che in quelle circostanze arrivavano i giovani di famiglie del circondario, in particolar modo i Pignata che abitavano appena al di là del fiume che scorreva vicino a casa.

Rovarè, durante la prima guerra mondiale venne a trovarsi pericolosamente vicina al fronte del Piave. Furono giorni di grande apprensione quelli che videro passare le nostre truppe in ripiegamento. 

[…] Di qua del Piave invece era tutto un fermento di truppe italiane che cercavano di riorganizzarsi per arginare l’avanzata nemica e anche se si trattava di truppe amiche le famiglie erano prese d’assalto allo stesso modo e cercavano di far del loro meglio per conciliare il magrissimo bilancio con il sostegno ai combattenti che si alternavano al fronte.

Spentisi gli ultimi fuochi della guerra, nella grande famiglia patriarcale dei Martin ognuno ritornò a svolgere il proprio servizio coscienziosamente, ma ci fu anche chi s’inventò un modo diverso di sbarcare il lunario, che non fosse soltanto quello di contadino; altri preferirono emigrare. […]

(L’epopea dei Martin di Rovarè è descritta nel 4° vol. “Famiglie d’altri tempi”. Info: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.)

 

Please publish modules in offcanvas position.

Free Joomla! templates by AgeThemes