Becevello (Rasmi)

becevello“Risale al 1868 l'arrivo a Paese dei "Rasmi", questo il soprannome della famiglia Becevello, un nomignolo dalle origini sconosciute, ma tuttora abbastanza diffuso nella campagna trevigiana. Becevello invece potrebbe derivare da De Beçevel, un casato francese originario della zona di Montpellier, nell’Hérault della Francia, giunto nel Veneto con le armate napoleoniche. Nel 1868, per sanare il deficit dello Stato, salito alle stelle dopo la Terza Guerra d’Indipendenza che aveva visto riconquistato anche il Veneto, è istituita la tassa sul macinato, che colpisce soprattutto le masse rurali. Solleva violente polemiche, ma è approvata nonostante la dura opposizione della sinistra. La legge stabilisce che la riscossione avvenga a cura del mugnaio prima di consegnare le farine. Naturalmente in Parlamento non c’era un solo rappresentante delle classi popolari. I deputati erano tutti ex principi, marchesi, baroni che vivevano di rendita sulle loro vecchie proprietà terriere o su quelle ricevute con l'espropriazione dei beni della Chiesa. Nello stesso anno entrava in funzione il canale di Suez, inaugurato il 17 novembre alla presenza dell'Imperatrice Eugenia Bonaparte e di numerosi Capi di Stato europei. A Paese i “Rasmi” vi arrivarono proprio in quell’anno provenendo da “Brusaporco”, attuale Castelminio di Resana. Altri della stessa casa si trapiantarono a Paderno su un fondo dell'Istituto degli Esposti di Venezia, che aveva una dislocazione proprio nella frazione di Ponzano Veneto, per spostarsi poi nel capoluogo comunale, nella villa donata dal nobile veneziano Minelli, attuale sede legale della Benetton. Il nucleo diretto a Paese s'insediò nella campagna di Sovernigo, in Via Cucchetta (ora Via Gorizia, laterale di Via Trieste), verso Porcellengo, per mezzo dei fratelli Giuseppe e Angelo, figli di Pellegrino. Divennero così mezzadri su un fondo degli Algarotti, passato poi ai Candiani e ai Pellizzari di Treviso. Era ricoverata sotto lo stesso tetto nella sezione di sinistra anche la famiglia Maritan (“Maritàni”), separata dai Becevello da una recinzione. Giuseppe (1840), il 19 febbraio 1868, aveva sposato a Porcellengo Maria Maddalena Loro, che lo rese padre di cinque figli, quattro femmine e un maschio. Giovanni (1870), battezzato a paese da don Giovanni Rossi, padrino Giuseppe Nasato (“Moretón”) del fu Celestino, era il primogenito, che si unì a Luigia Tonetto (1873) figlia di Angelo. C’era poi Oliva (1873), battezzata dal cappellano don Giovanni Pilla e tenuta al fonte da Francesco Nasato. Venne poi Anna (1875), il cui padrino fu lo zio Angelo Toniolo, fu Tommaso. Quindi c’era Luigia Maria (1879), era padrino di battesimo Costante Toniolo da Quinto. Infine venne al mondo Adele (1882), tenuta a battesimo pure lei da Angelo Toniolo. Anna e Luigia si sposarono ad un Pozzebon e a un Pozzobon; Oliva, restò nubile e visse con il fratello nella cascina di campagna; Adele morì prematuramente. Nella stessa casa c’era anche la famiglia di Angelo (1848) e Lucia Toniolo (1849), figlia di Tommaso “Pavan”. Questi si unirono in matrimonio a Paese il 30 aprile 1874. Furono pure loro genitori di quattro femmine e un maschio: Giovanna (1975), il cui padrino di battesimo fu Domenico Vendramin; Maria Luigia (1876), padrino Nasato Antonio detto Moretón, di Martino; Luigi Giuseppe (1878), padrino Giuseppe Cucchetto fu Luigi, una famiglia non più presente a Paese; Regina Giacoma (1880), padrino Giovanni Valson, una famiglia emigrata a Littoria; Costanza (1882), padrino Eugenio Pozzobon. L’edificio abitato dai “Rasmi” era una tipica casa colonica, con due porticati di dimensioni differenti. Quello di sinistra immetteva alle stalle e al fienile, ma si poteva accedere attraverso una ripida e stretta scala di legno, a tre stanze da letto e al granaio. Attraverso il secondo arco si accedeva alle stanze “nobili” dei padroni di casa, genitori e nonni, ma anche alla cucina e alla cantina. Davanti alla costruzione un ombreggiante pergolato offriva il suo benefico refrigerio nelle calde e afose giornate estive. Un terzo porticato si trovava nella parte di caseggiato in cui erano insediati i Maritan. Loro vicini di casa, a qualche centinaio di metri, erano i Berti, con i quali erano instaurati sentimenti d’amicizia e di sostegno reciproco. Ben presto - era il 1890 - un altro componente si aggiunse alle famiglie di Angelo e Giuseppe. Si trattava di una bambina di otto anni, Albina Lucarelli, accolta in affidamento per godere di un piccolo introito e quindi affiliata Becevello. Nata a Carbonera da genitori rimasti ignoti, Albina visse integrata in casa dei "Rasmi" e fu trattata al pari di una figlia. In età adolescenziale andò a servizio in casa di borghesi veneziani, dove vi restò, nubile, fino ai primi anni del secolo scorso. Nonostante il distacco, la sua famiglia rimase per sempre quella dei "Rasmi" e non se ne dimenticò mai. Fu una vera risorsa e garanzia economica per quella numerosa di Giovanni ed Elisa Tonetto, genitori di tredici figli. Di questi solo sei sopravvissero alla crudezza dei tempi e formarono altrettanti nuclei in Paese. Della famiglia Tonetto, dal registro dei defunti della parrocchia, emerge un episodio accaduto il 26 maggio 1676. Vi si recita: “Francesco Tonetto cascò giù d’un morato; confessato dal sig. pievano di Castagnole fu condotto a casa sua. Comunicato et munito del sacramento dell’estrema unzione da me Pre’ Domenego De Poli cappellano, morse (morì) subito d’anni 36 incirca, fu sepelito in questo cimitero pur da me sopradetto cappellano”. Firmato con una croce. Nel periodo fra il 1678 e il 1680 si registrarono a Paese numerosi decessi di “figliuoli dell’Hospital di Venezia” o “della Pietà”, tutti con pochi giorni o con qualche mese di vita, probabilmente figli illegittimi di signorotti veneziani che violentavano le domestiche o le raggiravano promettendo loro uno zecchino (ducato d’oro veneziano del peso di tre grammi e mezzo, raffigurante nel diritto San Marco in piedi che porge al Doge genuflesso il vessillo, nel rovescio il Redentore benedicente entro un’aureola con dodici stelle a cinque punte). L'Albina, la "zia", così la chiamavano i figli di Giovanni, conobbe a Venezia il "Vate della Nuova Italia", Gabriele D'Annunzio, che se la portò al "Vittoriale" in Gardone Riviera, con l’incarico di cuoca personale e responsabile della "cambusa" (cucina). Sembra, anzi, che fosse un po' al centro di quella "corte", tanto da essere citata nel volume "Vita di Gabriele D'Annunzio" di Piero Chiara (ed. Mondadori - 1978). Spesso faceva visita al fratello, divenuto invalido della Grande Guerra, e non era raro che ad accompagnarla fosse lo stesso Comandante-poeta con la sua scorta. Ancora oggi i più anziani ricordano questo viavai di carabinieri e Camicie Nere per Via Trieste, diretti alla casa dei "Rasmi", per poi pernottare presso le famiglie Onesti e De Pellegrini. Fra D'Annunzio e Giovanni si era stretta una forte amicizia, invisa dal parroco di allora, mons. Attilio Andreatti, che non tollerava questo legame fra un suo parrocchiano e l'uomo (fascista) più discusso del tempo. Alla morte del Poeta, avvenuta il 1° marzo 1938, la "zia Alba" pensava di far ritorno alla casa del fratello che, beneficiando dei suoi soldi, nel frattempo aveva acquistato la campagna avuta in mezzadria. Ma amara fu la sua sorpresa nel costatare che, Giovanni, per il suo carattere generoso e altruista, aveva ipotecato la terra dilapidando il suo patrimonio. Non trovando quindi traccia dei risparmi spediti periodicamente a Paese con vaglia postale, decise di rimanere a Brescia presso la casa di riposo delle Figlie di S. Camillo, dove morì il 3 giugno 1940 all'età di cinquantotto anni. La salma fu tumulata in Gardone Riviera. Il suo nome rivive ancora nel nipote Albino, emigrato in Canada, nonché nel secondo nome di Bruno-Albino, che, educato in una famiglia con spiccato amor di Patria, decise d’intraprendere la carriera nella "Benemerita". Con la morte dell'Albina, seguita a soli due anni dalla scomparsa di D'Annunzio, la famiglia dei "Rasmi" perse il suo sostegno, più psicologico che economico, poiché il secondo era già stato compromesso da Giovanni, il "grande ferito", così lo chiamava il Vate, per essersi leso durante una raccolta per l'ammasso del grano nel periodo della Grande Guerra, tanto che per oltre trent'anni si aiutò con le grucce. Andò all’altro mondo nel 1945. Come già accennato, Giovanni Becevello aveva sei figli viventi, tutti con famiglia in Paese: Maria (nata nel 1899), era coniugata ad Attilio Barbisan, dei "Bini" di Sovernigo, che emigrarono in Canada nel 1957; Assunta (1902) era sposata ad Attilio Favero, dei "Castaldoni", morì di parto; Giuseppe Angelo (1906), sposato nel 1930 alla compaesana Pia Elisabetta Deoni (1908-94) dei “Màdari”; Angelo Gino (1909), coniugatosi a Paolina Marconato (1914) fu Domenico; Attilio Eliseo (1915) che, unito a Ester Lucia Nasato (1923) di Raffaele, dei "Moretèi", emigrò in Canada nel 1950; Noemi (1917), maritata ad Emilio Barbisan, dei "Bini", fratello di Attilio, emigrati nel 1930 in Canada. Tutti gli emigrati sono deceduti in terra straniera. Come si può intuire la famiglia dei “Rasmi” conobbe quindi un nuovo impulso generativo. Giuseppe mise al mondo nove figli, quattro maschi e cinque femmine: Pio (1931-89), deceduto in Canada; Luigia (1933); Assunta (1936); Angela (1938); Giovanni (1940); Bruno (1942); Rino (1943); Maria (1945); Lidia (1947-89). Nel 1945, divenuta la cascina insufficiente a contenere l’aumentata popolazione e la terra a sfamare tutte quelle bocche, Giuseppe e Pia misero in atto il loro “San Martìn”, raccolti i pochi stracci, uscirono dalla casa paterna dei “Rasmi” andando ad insediarsi, da mezzadri, a Ponzano su un fondo di un possidente di Morgano. Era un terreno arido ed abbandonato, ma la volontà di migliorare la propria condizione non mancava loro. Rimboccatisi le maniche dissodarono quella terra, rendendola fertile con il proprio sudore, piantumandovi pure un vigneto. becevello02 Ma come accade ancora oggi, toccò anche a loro sperimentare l’ingratitudine di gente senza scrupoli; fatto è che il padrone di quella campagna, subdorando l’affare, ruppe il patto agrario con un pretesto, decidendo di vendere il patrimonio libero da vincoli. Giuseppe e la sua famiglia furono costretti a ripetere dopo cinque anni la transumanza ritornando nella casa di origine. Quello che seguì fu un periodo infausto, in parte alleviato dalla solidarietà dei vicini di casa e d’altra gente compassionevole. Due anni dopo Giuseppe lasciò questo mondo e i figli, divenuti ormai adulti, cercarono un’autonoma sistemazione, dando una svolta alla loro esistenza. L’onorata antica casa dei “Rasmi” è ancora là come un tempo in Via Gorizia. Non c’è più invece la parte già dei “Maritani”, abbattuta per far posto ad una moderna palazzina.

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