"Quella dei Bravi è storia vera, fatta da un paio di buoi, una vacca e una cavalla nera". È un detto che ci si tramanda da generazioni in casa dei Boldrin, da quando provenienti da Fanzolo di Vedelago (Treviso), vennero ad insediarsi a Padernello, frazione di Paese (TV). Il capostipite Angelo Boldrin, detto "Bravo", era nato nel 1804, anno in cui Napoleone s’incoronava imperatore nella basilica di Notre Dame di fronte a papa Pio VII. Contemporaneamente era progettata la prima locomotiva mossa da una macchina a vapore. Il collaudo avvenne su un binario di quindici chilometri alla media d’otto chilometri l’ora, trasportando dieci tonnellate di ferro e settanta persone. Nasceva la ferrovia. Angelo Boldrin era unito ad Angela Cavallin. “Bravi”, un soprannome che risale ai tempi della "Serenissima", che era tutto un programma. Tale si è rivelato anche dopo oltre due secoli. I due coniugi, a Fanzolo di Vedelago, fra il 1823 e il 1838, misero al mondo nove figli, cinque maschi e quattro femmine. Giosuè (1823), che si unì ad Antonia Favero da Paese, era il primogenito; Mosè (1829) il quarto, sposato a Geltrude Mondin da Falzè di Trevignano. Furono questi due, dai nomi biblici, a generare rispettivamente Angelo (1861) e Virgilio (1863), coloro che, lasciato il ceppo originario, nel 1897 si trasferirono con le famiglie e poche masserizie a Padernello, dove presero in affitto la campagna della nobile famiglia Moretti d’Istrana. Una scelta obbligata dalla necessità certo, ma accettata volentieri per la vicinanza alla chiesa: erano, infatti, persone molto credenti e, per la particolare ubicazione, furono identificati come i "Bravi del campanile". Un'innata indole da imprenditori fin d'allora caratterizzava i "Bravi". Fin dai tempi andati non lesinarono fatiche e investimenti per progredire. Perfino le consorti di Angelo e di Virgilio, pur d’incrementare la stalla con dell'altro bestiame, vendettero i loro pochi ori portati in dote. Fu un aiuto decisivo per il raggiungimento di venti capi. Il lavoro era duro ed estenuante, ma serviva a sbarcare il lunario, soprattutto a far felice il datore di lavoro. "Riverisco, sior par?n", era il saluto usuale verso il nobile Moretti, da cui dipendeva la sopravvivenza delle due famiglie. Nel 1931 Dino Boldrin, fratello di Vito, si ammalò. La famiglia dovette privarsi di due buoi per ricoverarlo all'ospedale di Padova, allora certo le mutue non esistevano ancora. Per la circostanza fu affidato a S. Antonio e vestito con il saio francescano. Tuttavia, tornato a casa, dopo soli sei mesi si aggravò tanto da lasciare questo mondo. Durante i mesi estivi alla casa dei "Bravi" si gestiva una "frasca", una specie d’improvvisata osteria all'aperto. La mobilia era costituita da un vecchio tavolo e malferme sedie impagliate collocata sotto un frondoso pergolato. Si vendeva il vino di produzione propria, sia da asporto sia da bere sul posto. Per insegna c’era un cartello appeso ad un ramo di gelso sul quale mani poco esperte avevano pennellato la parola “frasca”. Era il ritrovo domenicale di amici e passanti. Tre figli di Angelo parteciparono alla Grande Guerra: Luigi (1889), Simeone (1896-1948) e Giosuè (1899). Durante la Seconda Guerra Mondiale la casa dei Boldrin era meta di soldati tedeschi, dove trovavano sempre qualcosa con cui sfamarsi. Nei primi decenni del secolo scorso, anche alcuni "Bravi", come tanti altri compaesani, intrapresero il viaggio della speranza imbarcandosi verso il Nuovo Mondo e l'Australia, mentre alcuni altri prendevano il treno per la Svizzera. Nel 1997 i Boldrin si sono dimostrati bravi davvero nell’organizzare un grande raduno di tutta la parentela in occasione dei cent’anni d’insediamento a Padernello. Partirono oltre quattrocento inviti ad altrettanti parenti sparsi ovunque nel mondo. Tutti discendenti di quei due precursori, Angelo Bravo (classe 1804) e Angela Cavallin, di cui abbiamo già parlato. E il 28 giugno del 1997, sul cortile della casa di Vito, montato un gran tendone, di Boldrin n’arrivarono ben duecentocinquanta. La festa si protrasse per ben tre giorni e, mentre l'orchestrina suonava, si rievocarono episodi di vita andata con tanti volti scomparsi. Sotto un porticato era allestito l'albero genealogico, con le fotografie sbiadite dal tempo ma più eloquenti che mai.