Specifico delle province di Padova e Treviso, il cognome Marconato sembra derivi da Marcus (Marco), modificato dialettalmente. Nel comune di Paese (Treviso-Italy) i Marconato si trovano in quasi tutte le frazioni oltre al capoluogo. Ci sono i “Marconati”, i “Muneri”, gli Albi, i Vendramini, e inoltre i Marconatèi, in Via Ortigara, a Padernello, vicino all’incrocio di San Luca. Il precursore di questi si chiamava Girolamo, figlio di Giovanni, coniugato con Elisabetta Colesso. Furono questi i genitori di Giacomo (1827), coniugato con Luigia Basso. Merita comunque una menzione quella che era la famiglia Marconato più numerosa in Padernello. Si trattava di Albino e Giovanna Mattarucco; erano questi gli “Albi”, genitori di Teresa (1860), di Maria Anna (1861), di Luigi (1863), di Angela (1865), di Eugenia (1867) e una omonima nel 1868, di Candida (1869), Maddalena (1871), Antonia (1873), Pietro (1874), Maddalena (1878), Vittoria (1880). Nel 1861 in America scoppiava la guerra civile tra l’Unione degli Stati Uniti del Nord e undici stati secessionisti del Sud, questi associati nella Confederazione degli Stati Uniti d’America. Il conflitto si esaurì nel 1865 e passò alla storia come Guerra di Secessione americana. Arruolato fra quelle truppe che contribuirono a fare degli Stati Uniti d’America la più gran democrazia del mondo, c’era anche Giacomo Marconato, dei “Marconatèi” di Padernello. Tuttavia non partecipò direttamente agli scontri perché ritornò in Italia alla vigilia del conflitto, povero com’era partito, riprendendo l’attività di contadino. Dal matrimonio di Giacomo con la sua sposa vennero al mondo i figli Gottardo (1859), Girolamo (1860), Giovanna (1861) che si sposò con il compaesano Pietro Pietrobon (“Boni”), Fiorina (1863), Fiorino (1866), Domenico (1868), detto Memo, che si accasò con la compaesana Giustina Bordignon, quindi Silvia Elisa (1870) che, coniugatasi, andò ad abitare in provincia di Pordenone, e Valentino (1874) che si accasò con Regina Vendramin. I Marconatèi abitavano in una casa colonica, con tre porticati al centro, di un certo Carrisi, dal quale acquistarono intorno alla metà del secolo scorso la loro porzione per la somma di Lire 1,5 milioni. L’edificio è tuttora visibile in Via Ortigara, nei pressi dell’Oratorio di San Luca, di fronte al bar-tabaccheria. Domenico e Giustina si unirono in matrimonio nel 1898. L'anno seguente nacque il loro primogenito, Fiorino (1899), che convolò a nozze con Elisea Zanatta, detta Zea, (1905, “Danatèi”). Fiorino, Ragazzo del “99, era stato precettato giovanissimo per il fronte della Grande Guerra ed inviato a combattere sui Monti Solaroli, nel Massiccio del Grappa, ma più che il nemico armato, fu il gelo a mettere a dura prova la sua resistenza. Nel precario riparo di trincee poco profonde, scavate in fretta, rimase congelato agli arti inferiori e non potendo mettersi gli scarponi si fasciò i piedi con stracci di fortuna. Non furono tuttavia sufficienti a salvarlo dall’amputazione delle falangi, operazione che avvenne nell’ospedale da campo. In seguito fu operato altre due volte perché rischiava la cancrena, finché rimase solo con i talloni. Riuscì a portare a casa la vita pur senza i piedi, sopperendovi poi con speciali calzature ortopediche. Congedato e non potendo più svolgere i gravosi lavori agricoli, avviò un piccolo negozio di fronte alla loro abitazione, nel palazzo di tre piani già municipio di Padernello (1806-66) e prima ancora convento di qualche ordine monastico, in località Marcelline, un tempo residenza dei nobili Bianchi. Sotto un porticato predispose anche una frasca (piccola osteria campestre). Fiorino non amava rievocare le vicende belliche di cui era stato protagonista suo malgrado, anzi si commuoveva al solo pensiero perché il suo sistema nervoso ne aveva particolarmente risentito. Talvolta lo faceva per lui la moglie, che raccontava agli avventori di quando, appena diciottenne, Fiorino s’era visto la morte bianca avanzare inesorabilmente mentre tanti suoi compagni arrossavano la neve con il proprio sangue. Tutto era iniziato nel novembre 1917; con l’esercito italiano in ritirata dopo la rotta di Caporetto, il fronte interno cominciava sul Grappa la strenua resistenza che, un anno dopo, porterà l’Italia alla vittoria. Contemporaneamente a Padernello la chiesetta di San Luca era stata requisita e adibita a ospedale mentre tutt’intorno erano accampate le truppe di rincalzo al fronte del Piave, con le cucine da campo che preparavano i rifornimenti per i combattenti. Nel tempo la frasca diventò una vera locanda: “Osteria da Fiorin”, recitava l’insegna esterna. Qui si davano appuntamento i mercantini per i loro affari, soprattutto i commercianti di bestiame di Tombolo, che suggellavano qui i loro contratti. Nel locale, intervallate alle accese discussioni, di tanto in tanto si udivano delle sonore schiacciate sui palmi delle mani che si davano reciprocamente i compratori e i venditori per sancire l’affare. Ma talvolta, dopo aver alzato più volte il gomito, i dialoghi degeneravano in sproloqui e volavano parole grosse. Chi poi ci rimetteva era l’oste perché gli avventori, brilli, si dimenticavano di pagare le consumazioni. Nel cortile dell’osteria c’era anche il campo da gioco dei birilli e delle bocce, che attirava persone anche dei paesi del circondario. In quel palazzo di tre piani quindi Fiorino sistemò la sua famiglia. Fiorino Marconatèl e “Zèa” dei Danatèi furono marito e moglie nel 1926. Dal loro indissolubile amore nacquero sei eredi. Il primo fu Remo (1927-2004), che si unì con Antonia Mazzocco da Istrana (1927-2000). Il nonno di Antonia, Francesco Mazzocco, era stato combattente per l’Indipendenza e l’Unità d’Italia, con il grado di caporale, nelle truppe del 39° battaglione di fanteria, che con il 34° bersaglieri, al comando del generale Cadorna, erano penetrate in Roma per Porta Pia, costringendo alla resa le truppe di Pio IX. Tuttora i nipoti Marconato conservano il diploma con la medaglia conferitagli nel 1870 per la partecipazione alla storica impresa. A prendere in mano la conduzione dell’osteria, dopo il ritiro di Fiorino, fu il primogenito Remo, lasciatosi alle spalle una vita da falegname. Da lui vengono queste memorie, riprese dai figli Mario e Fabio perché non cadessero nell’oblio.