Piccoli (“Bastìni”)

piccoliI “Bastini” erano una delle più radicate discendenze nel territorio di Paese (Treviso – Italy). Nell’immediato ultimo dopoguerra la loro abitazione arrivò ad ospitare quasi una cinquantina di persone, membri della stessa famiglia, tanto che alcuni, per dormire, si dovevano trasferire ogni sera nella casa di fronte. Occupavano un gran caseggiato, da fittavoli degli Algarotti-Quaglia, nelle vicinanze della Villa di questi signori, edificio ancora al suo posto in Via Roma, civico dal 160 al 170, distinguibile per un timpano al centro. Bastìni, la loro provenienza rimane sconosciuta, come il nomignolo. Qualcuno lo farebbe risalire al fatto che i suoi membri erano generalmente alti e magri, proprio come dei bastoni. Di certo la loro storia è quella tipica della quasi totalità delle famiglie, la cui sussistenza proveniva dal lavoro di braccianti. In principio c’era Giacomo, probabilmente nato all’alba del XIX secolo. Questo antesignano era padre di Angelo che si sposò con Maria Gasparini. Questi due coniugi appaiono nell’atto di battesimo del loro figlio, Donato-Francesco-Bernardo, nato a Paese, il 14 marzo 1846 e battezzato il giorno dopo dal parroco di Paese, don Sante Donato. Furono questi i precursori di una linea genealogica che va progressivamente allungandosi. Il 1874 fu un anno importante: si festeggiava il giubileo di Vittorio Emanuele II, regnante da venticinque anni. Fu quello l’anno di nascita del più carismatico della famiglia Piccoli: Giovanni-Antonio (1874-1958), di Donato e Domenica Visentin. Antonio era il secondogenito dei due coniugi. Il primo si chiamava Gaetano-Antonio (1872), di cui si sono perse le tracce. Dopo di questi vennero al mondo altri quattro consanguinei: Bortolo, detto “Eto” (1876-1956), che si unì a Maristella Mattiazzi (“Dòrdi” di Paese); Giovanni Battista (1882-1918), marito di Angela Furlan (“Crò); Giustina (1878), e Maria-Luigia (1880) che si sposò a Giacomo Zanoni (“Brigata”) da Sovernigo. Giovanni Battista combattente nella Grande Guerra, perse la vita sul Carso, a trentasei anni, seguito poco dopo dalla sua sposa, morta repentinamente di febbre spagnola, lasciando orfane le tre figliolette di nove, sei e due anni. Antonio formò il suo nucleo familiare con Noemi Frassetto (1879-1957) da Musano. Fra il 1902 e il 1921 diventarono genitori di dieci figli: Geltrude (1902), che divenne religiosa francescana assumendo il nome di suor Afra, ospite tuttora in un convento di Gemona alla bell’età di anni cento; Serafino (1904-1977), sposo di Letizia Polin (1904-1996) da Paese; Egidio, unito a Teresa Vanin da Treforni, emigrato in Francia, morì a soli trentatré anni, lasciando tre figli in tenera età; Attilio, congiunto alla concittadina Maria Pavan; Afra (1908-2002) - Suor Graziana - religiosa francescana, deceduta a Gemona; Maria, suora salesiana, deceduta in provincia di Brescia nel 1992; Gemma, sposa di Alfonso Bandiera; Giovanni, unito a Rina Vanin, deceduto nel 1959 a soli quarant’anni; Domenica (“Ninéta”), moglie del compaesano Costante Rossetto; Angelo (1921) unito in matrimonio con Bertilla Renosto da Monigo… Durante il periodo fascista, una sera, mentre la famiglia Piccoli era riunita in stalla a filò, si sentì bussare prepotentemente alla porta. Nonno Antonio, con il cuore in gola come tutti i presenti, andò ad aprire. Era un manipolo di giovani fascisti. Le donne smisero di sferruzzare, iniziando a mormorare qualche giaculatoria, mentre le figlie abbassavano il volto per non farsi notare. I giovinastri intimarono al capofamiglia di consegnar loro le soprèssate. Questi salumi erano un’indispensabile riserva per i contadini, che consumavano nei periodi di defatiganti lavori agresti accompagnandolo da buoni bicchieri di rosso casalingo. Antonio tentò di dissuaderli, dicendo che erano conservati nel granaio, appesi alle travi del sottotetto, ma che era pericoloso recarvisi col buio. Lo strattonarono facendosi precedere oltre il cortile fino ai piedi della scala a pioli. Qui uno di loro seguì il capofamiglia fino al granaio, mentre le galline e le oche cominciavano ad agitarsi dando pure loro segni di inquietudine. Tòni Bastìn, persona di gran temperie, imprecava dentro di sé, li avrebbe volentieri malmenati, ma sapeva che poteva rimetterci la vita e si trattenne per amore della famiglia. Giunti al piano superiore, con cautela, nel buio più profondo, il fascista, attratto come un topo al formaggio dall’odore dei salumi stagionati, si precipitò in deliquio verso tutto questo bendiddio, di cui scorgeva le oscure sagome. Prelevò quello che gli sembrava il più grosso insaccato, tornando quindi sui suoi passi, subito seguito dai camerati. Poco lontano entrarono nell’osteria di “Piero dea Ida” e, fattisi portare un lungo coltello da cucina, si prepararono alla festa. Al taglio, quella che doveva essere una grossa sopressata, si rivelò sorprendentemente un manicotto di lardo. Fecero buon viso, poi con la coda fra le gambe ritornarono donde erano venuti. Ma quanta paura per i Bastìni!

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