gocce di vita

Donare il proprio sangue per salvare una vita è uno dei gesti umani più meritevoli che una persona possa fare nella sua esistenza. Ho assunto con alto senso di responsabilità l’invito ad occuparmi di una pubblicazione sul percorso cinquantennale dell’AVIS di Paese, consapevole di dover interpretare quella che può essere definita l’associazione madre del Comune, per la sua storia e per ciò che fa e rappresenta. 

 

 

 

Donatori: Campioni nella solidarietà
Donare il proprio sangue per salvare una vita è uno dei gesti umani più meritevoli che una persona possa fare nella sua esistenza. Ho assunto con alto senso di responsabilità l’invito ad occuparmi di una pubblicazione sul percorso cinquantennale dell’AVIS di Paese, consapevole di dover interpretare quella che può essere definita l’associazione madre del Comune, per la sua storia e per ciò che fa e rappresenta. Certamente l’ho assunto anche con un po’ di imbarazzo essendo tra coloro che non hanno mai donato una goccia del proprio sangue per indifferenza, per superficialità, forse anche per pregiudizio, anche se ho sempre apprezzato e stimato coloro che, invece, hanno elargito questo dono con generosità e semplicità. Devo quindi fare ammenda di questa omissione che riguarda la mia vita. Me ne dolgo ancor più ritenendo che la donazione sia quasi un obbligo morale per tutte le persone sane, una sensibilità da avviare fin dai primi anni di scuola.
Un obbligo soprattutto per un credente, perché è chiaro che gli avisini si ispirano nel loro gesto al sacrificio di Cristo. Ed è pure un dono umano, a prescindere dalla fede, dall’ideologia, dalla religione, come tanti altri gesti di carità che dovrebbero essere messi in atto nei confronti di chi sta peggio, di chi non ha i mezzi sufficienti per tirare a campare, di chi non ha proprio niente per sé e i propri figli, di chi non ha nemmeno il fiato per chiedere aiuto. La solidarietà e la condivisione dovrebbero essere recepite come dovere morale e civile e non soltanto come estemporaneo gesto caritatevole bisognoso di frequenti sollecitazioni.
Mi è capitato di visitare nell’ottobre 2008 un quartiere povero di una città africana, fuori dai consueti itinerari turistici, potendo toccare con mano la disparità che esiste tra l’Occidente opulento e il Sud del mondo. Sono rimasto scosso dalle condizioni disumane in cui è costretta a vivere molta gente, bambini compresi, traendone intimamente delle conclusioni. Mi sento perciò sintonizzato con i donatori avisini che percepiscono il dono del sangue come impegno per la vita.
Avevo iniziato questo lavoro con il mio normale impegno di sempre, ma, a mano a mano che spulciavo tra i verbali di un cinquantennio di vita avisina, mi rendevo conto di svolgere un servizio che meritava un coinvolgimento pieno, una profusione totale alla quale, in coscienza, non sono riuscito a restare mai indifferente. Ho cercato di immedesimarmi con tutto me stesso nei sentimenti dei donatori, provando anche un po’ d’invidia, a cominciare dai pionieri e mi sono chiesto quali straordinarie qualità li animassero per portarli ad avviare un servizio che, pur essendo tanto umano, sociale e civile, per la sua singolare pregnanza di valori non può essere stato ispirato che dal Buon Dio.
Mi ritengo perciò fortunato di aver preso in qualche modo, seppur indirettamente e tardivamente, questo treno in corsa; di essere stato associato, anche se soltanto di riflesso, a queste virtù, attraverso l’impegno per questo libro al quale ho dato il titolo “Gocce di vita”. Ma più che di gocce si dovrebbe parlare di un fiume in piena, come gli animi degli avisini che esondano di generosità. Diceva il premio Nobel per la letteratura 1976, Saul Bellow: “L’uomo non vive di solo sé, ma del sé riflesso nel volto di suo fratello”. Una verità ispirata al vangelo che sembra coniata a posta per i donatori di sangue.
Ogni pagina di questo libro rivela, infatti, quanto ciò sia vero. Mi sento pertanto di rivolgere un invito, soprattutto ai giovani, a valorizzare la propria vita, a riempirla di contenuti significativi, ad essere generosi dando concretezza ai messaggi che l’Avis continua a diffondere. Troppe vite vengono sciupate per divertimento, per fatalismo, per inesperienza, per noia, per disperazione, quando invece ci sono tante occasioni di affermazione come persona e come società. La continuità di questo spirito altruistico, etico e morale insieme - perché un donatore deve sempre essere un esempio di onestà e correttezza - non può che passare attraverso di loro, i giovani, non c’è un’altra strada.
Merito e onore quindi a coloro - e sono davvero tanti! - che anche in questi anni continuano a profondere il meglio di sé per l’affermazione della dignità del malato, del diritto alla vita di ogni persona. Credo che il grado di civiltà di una comunità, vorrei dire di una nazione, si misuri soprattutto attraverso parametri come questo: l’abbondanza di donatori in tutti i campi e settori di promozione umana. Mi auguro che la sezione avisina di Paese non faccia mai mancare il ricambio e il rinnovamento di questa edificante solidarietà, test essenziale per interpretare il proprio futuro.
L’autore



Avis Paese: la nostra Storia

La pubblicazione racconta i primi cinquant’anni della nostra epopea associativa, che è parte integrante della nostra società, della nostra cultura e del nostro vissuto.
Ho voluto fortemente questo libro, perché credo sia un momento importante e significativo, che ci permette di fermarci a riflettere, per non dimenticare ciò che è stato fatto prima di noi.
In questi anni di esistenza sempre più frenetica, tempestata di notizie, di avvenimenti, in quest’epoca dalla “corta memoria”, dove tutto viene “bruciato” e passa in fretta spesso senza lasciare traccia, dobbiamo trovare il tempo per fermarci a riflettere sui valori fondamentali. Altruismo, generosità, sensibilità, sacrificio, spirito di squadra sono questi i valori che erano, sono e saranno a fondamento della nostra associazione.
Ed è grazie all’abilità del nostro compaesano Mariano Berti che il nostro percorso associativo viene qui raccontato con i suoi sentimenti, sensazioni, scorci di vita e storie personali arricchiti dal valore intrinseco della nostra partecipazione.
È per me un grande onore rappresentare l’Avis di Paese in concomitanza di questo speciale evento: mezzo secolo, un traguardo pregno di significati e di valori di riferimento.
Sono entrato a far parte di questa Associazione nel 1990, da donatore, poi sono diventato consigliere ed infine presidente, carica per me molto importante, recepita fin dall’inizio molto impegnativa per il timore di non essere abbastanza all’altezza. Paura che presto sono riuscito a superare grazie all’aiuto di tante persone, in particolare del Consiglio Direttivo, che mi sono state a fianco aiutandomi nel percorso di crescita e di profusione per diffondere e far crescere l’Associazione.
Cos’è l’Avis per me? Un riferimento, un impegno assoluto. È stata ed è una crescita umana continua, la condivisione di un progetto, di un confronto costruttivo, una scoperta quotidiana di piccoli ma importanti valori espressi da tante persone.
L’Avis per me è stata ed è un grande insegnamento di vita, che ho potuto assimilare attraverso la lunga esperienza e le grandi qualità lasciatemi in eredità dai presidenti che mi hanno preceduto, ma soprattutto stando accanto a persone con un’eccezionale carica umana, che hanno condiviso la mia stessa strada. Uomini e donne normali che vanno con assiduità, spontaneamente e senza proclami a donare il proprio sangue. Persone inarrendevoli che costituiscono lo “zoccolo duro” dei cittadini, il “motore” della nostra società. Gente sempre pronta a fare il proprio dovere, la propria parte in famiglia, nel lavoro, nella comunità, senza rinunciare a confrontarsi con generosità e altruismo nell’impegno civile, per i propri ed altrui basilari diritti. Questi sono ancora gli avisini di oggi, non meno di quelli di ieri, nel segno della migliore continuità.
Esprimo perciò anche da queste pagine un rinnovato, sincero e cordiale saluto e ringraziamento a tutti i donatori di Paese. Di tutti i tempi.
Aldo Piva
Presidente Avis Paese

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