“Famiglie d’altri tempi” è una raccolta di 5 volumi che racchiude la saga di molte famiglie del Veneto, in particolare del territorio trevigiano, con la ricostruzione genealogica, il significato del cognome e l’origine del soprannome, l’emigrazione, le speranze e le delusioni, la sofferenza ma anche il riscatto e la voglia di progredire. Si tratta, in totale, di un’opera di circa duemilacinquecento pagine corredate di centinaia di fotografie d’epoca. Mariano Berti ha fissato così la memoria non solo di tanti nuclei familiari veneti, ma anche di un passato che rischiava di cadere nell’oblio.
Il Collezionista di famiglie
“Mariano Berti si è assunto la missione di raccontare la storia delle famiglie, e benché il lavoro sia ancora lungo, un bel tratto di strada lo ha già percorso con questi cinqueo volumi. Sono libri straordinari, un caleidoscopio inesauribile di personaggi, aneddoti, ricordi, carichi ora di nostalgia ora di dolore, sempre accompagnati da fotografie d’epoca, che farebbero invidia a qualsiasi archivio... e poi c’è l’incontro diretto con i protagonisti, forse il lato più affascinante di questo mestiere.
Lo schema di questi libri prevede anzitutto l’indicazione del nome della famiglia, soprannomi compresi (piccoli capolavori di creatività e di sintesi delle vicende e dei caratteri). Segue, laddove è stato possibile ricostruirlo, l’albero genealogico, che si spinge il più indietro possibile. Quindi parte il racconto della saga familiare. Dicendo che ogni capitolo è un romanzo a sé, traboccante di suspense e di colpi di scena, personaggi leggendari, ascese e cadute, si pecca non per eccesso, bensì per difetto. Provare per credere, tenendo presente che qui, però, è tutto vero, vita vissuta…”.
Paolo Perazzolo (Famiglia Cristiana)
Volume 1
Le future generazioni, che ancora non ci sono, stanno correndo un rischio molto elevato di rimanere private di gran parte della loro memoria storica, a iniziare dalle notizie del proprio passato più recente. E’ la stessa evoluzione della società, pur ricca di connotati positivi, a indurre questa possibilità: la rapidità delle relazioni personali ed interpersonali ed il bombardamento incessante di informazioni ricevute possono condurre, alla fine, ad un indifferentismo globale nei riguardi dell’informazione stessa, spiegabile con la difficoltà di stabilire una gerarchia di valori tra le innumerevoli notizie che la persona riceve in ogni momento della sua vita, attraverso molteplici strumenti. Insomma, la testa della gente, raggiunta da migliaia di notizie ogni giorno, entra in confusione. La stessa attività intellettiva, coltivata dalle persone maggiormente attrezzate culturalmente per affrontare la complessità della società delle comunicazioni, viene messa a dura prova e non sempre anche le menti più preparate e smaliziate hanno facilità a discernere ciò che va colto nella sua immediatezza e poi subito dimenticato da ciò che deve costituire sedimento della memoria personale, familiare o sociale, degno di essere trasmesso alla memoria collettiva.
In questo contesto evolutivo di rapidi cambiamenti vengono messe a repentaglio le identità. Se non si attuano iniziative metodiche ed organiche di elaborazione culturale della propria storia, si perverrà, progressivamente e sempre più accentuatamente, al risultato di una perdita di specificità identitaria anche nei singoli paesi che caratterizzano il territorio, correndo il rischio di non saperne cogliere le peculiarità e le diversità rispetto alle comunità contermini.
Ogni singola comunità locale ha elaborato nel tempo una propria storia particolare, fatta di mentalità che cambiano da luogo a luogo, di personalità tipiche che hanno influenzato la dinamica interpersonale, di forme cultuali e devozionali specifiche, di impegni sociali più o meno accentuati, di capacità di volontariato differenti da zona a zona, di tradizioni e costumi che pur inquadrati entro una comune dimensione veneta o provinciale rivelano significative varianti locali: questo insieme di combinazioni percettibili ed impercettibili costituiscono la ricchezza della diversità di una comunità rispetto alle altre. In questa società sottoposta a permanenti pressioni di livellamento del pensiero e dei comportamenti attraverso la massificazione delle comunicazioni e caratterizzata per una straordinaria mobilità consentita dai mezzi di trasporto a forte dimensione individualistica la vera sfida del futuro riguarda la capacità di conservare la ricchezza della propria identità, sia essa personale, familiare o comunitaria.
Senza nostalgie per un passato da non far più rivivere, che spesso era caratterizzato da sofferenze indicibili provocate dalla povertà e dall’ingiustizia sociale, lo sguardo rivolto al futuro può e deve trovare arricchimento dalla conoscenza della storia, senza pensare di ripeterla o di fermare l’evoluzione del progresso, ma per farne elemento di consapevolezza.
Pertanto, hanno ed avranno sempre più significato gli approfondimenti storici, le ricerche, la costituzione e le consultazioni degli archivi, la sistematica attività scolastica per la conoscenza del proprio passato, i convegni di studio, le conferenze divulgative, le pubblicazioni scientifiche a monte e la divulgazione a stampa a valle di essa. Negli anni Settanta-Ottanta il Veneto è stato caratterizzato dalla pubblicazione di numerose monografie di storia locale che, pur con diversa serietà e validità, costituivano un messaggio diretto di quella volontà di conservare la propria identità che le comunità locali allora esprimevano non solo attraverso le numerose pubblicazioni ma anche mediante altre iniziative, quali furono – ad esempio – le esposizioni sulla civiltà materiale contadina che si può dire animassero quasi ogni sagra paesana; nel momento in cui si trapassava da una società rurale tipicamente d’identità veneta verso una società dei consumi e dei costumi livellata su scala nazionale si assistette a quella presa di posizione interessante, con la quale le iniziative poggiate sul culto del passato significavano una volontà di tutela di alcuni valori caratterizzanti la società locale, anche se molto spesso questo messaggio non veniva esplicitamente elaborato.
Stranamente, dopo un decennio circa di forte impegno per la salvaguardia dell’identità locale si è assistito ad un affievolimento di queste azioni. Un vero paradosso: su questo fronte c’è stata una specie di resa ed è avvenuta proprio nel momento in cui il bisogno di una risposta culturale era più alto, quando cioè grazie ai nuovi sistemi di comunicazione ed alle dinamiche dell’economia la società veneta si è vieppiù integrata nella dimensione globalizzante. E’ pur vero che la qualità e la quantità della ricerca scientifica in campo storico si sono significativamente elevate, ma allo stesso tempo è subentrato un certo silenzio verso la società: le scuole hanno abbassato l’impegno verso la storia locale, le biblioteche hanno ridimensionato la quantità di conferenze in questo settore, molte persone giovani hanno abbandonato l’uso corrente del bilinguismo veneto-italiano per un uso della lingua nazionale molto spesso di una povertà lessicale accentuata e talora con effetti di vera ridicolaggine. E potremmo continuare…
Quel che è peggio, si è assistito alla rimozione della propria identità anche all’interno delle famiglie. Morti i vecchi, i successori non conoscono la propria genealogia oltre il limite dei nonni, non sanno da dove provenga la loro famiglia, da quanti anni, decenni o secoli abbia posto le radici nel paese dove vivono, hanno vaghi ricordi su episodi di vita significativi per i loro antenati avendone sentito il racconto durante qualche circostanza familiare ma senza la volontà di farlo proprio, assimilandolo per tramandarlo.
Se Mariano Berti avverte – e non da oggi – l’esigenza di fissare su carta la raccolta delle storie delle famiglie rurali del passato è perché ha avvertito l’esigenza sociale e non solo sua personale per un’opera di questa dimensione. Egli si propone di rimediare a quell’affezione che ha colpito l’anima dei nostri contemporanei, quell’amnesia di massa verso la nostra storia che ci rende più poveri, che non ci permette di essere più noi stessi in forma piena e consapevole, che ci omologa e ci appiattisce su bassi livelli comuni.
Il suo lavoro ha il merito di inserirsi in un contesto di studi storici trevigiani ancora largamente carente nel settore prosopografico, caratterizzato solo per poche ricerche sulla storia delle famiglie (quelle più importanti e corrispondenti a criteri di una storia “aulica” che è pur sempre una porzione, pur importante, della storia). Mariano Berti dà un taglio nuovo: la sua indagine è una storia delle famiglie popolari. Può stare accanto, dignitosamente e con un proprio significato, alla storia delle grandi famiglie della nobiltà del trevigiano e del suo territorio, integrandola.
Il volume edita in veste organica una serie di contributi in parte già apparsi, nel corso degli ultimi anni, nella pubblicazione della Pro Loco di Paese. Si tratta di testi piacevolissimi, accattivanti nel loro stile, elaborati con partecipazione simpatica dell’autore verso le singole famiglie. Ma, al di là dello stile apprezzabile, queste storie di famiglie popolari rivestiranno grande importanza nel futuro delle comunità di Paese perché garantiscono la trasmissione di un sapere altrimenti destinato a cadere nell’oblio. Valga per tutte l’informazione dei cosiddetti “blasoni popolari” che Berti riporta accanto ai cognomi ufficiali (ad esempio, Barbisan detti “Bineti” o Zanoni detti “Brigata”): chi se li ricorda più? Eppure un tempo un po’ tutte le famiglie portavano il “soprannome”, per distinguere dei rami familiari che continuavano ad abitare nello stesso paese ma che ormai con passare delle generazioni avevano affievolito la loro parentela ed a tale scopo venivano dati degli epiteti che derivavano o da caratteristiche fisiche tipiche di quella famiglia oppure il cognome di chi aveva abitato in precedenza la casa dove il ramo familiare si era andato costruendo la sua autonoma esistenza.
Questa narrazione della storia delle famiglie popolari del Comune di Paese può ben rappresentare un esempio ed uno stimolo per tante altre comunità venete. I nuclei delle famiglie “storiche”, o semplicemente più vecchie, hanno contribuito alla costruzione della storia e dell’identità dei loro rispettivi paesi.
La narrazione delle vicende familiari è stata elaborata dall’autore con la capacità, dimostrata a più riprese nel corso del testo, di inserirle nel quadro degli eventi nazionali e internazionali, richiamando il collegamento con vicende di portata generale come, ad esempio, la guerra o l’emigrazione transoceanica di fine Ottocento; in definitiva si può affermare con serenità ed autenticità che leggere le singolari vicende di ciascuna delle famiglie elaborate da Mariano Berti è un po’ come leggere, indirettamente, la storia delle comunità di appartenenza, una storia locale non meno nobile né utile di tante storiografie generali.
Ivano Sartor
Storico, scrittore
Volume 2
La dedizione alla propria comunità si traduce, per uno storico o un ricercatore delle tradizioni locali, in una continuità di impegno, capace di superare l’episodicità di un pur apprezzabile interesse personale per qualche aspetto della storia degli antenati, trasformandosi in un impegnativo lavoro finalizzato a trasmettere a chi ci seguirà nei decenni e forse – Dio volente – dei secoli notizie, documenti, testimonianze, immagini, suggestioni e atmosfere che altrimenti andrebbero disperse.
E’ con tale obbiettivo che si è mosso anche l’autore di questo volume, il secondo contributo storico che racconta genealogie e vicende delle più insigni e longeve famiglie del territorio di Paese.
Lo studio di Mariano Berti rappresenta, dunque, un segno di continuità con il primo suo volume, Famiglie d’altri tempi. Viaggio nel passato con le famiglie di Paese, editato nel 2003, un’opera accolta con favore da chi si occupa di storia locale e gratificata da successo di lettori.
Le finalità e i propositi che inducono a scrivere un’opera con questa impostazione corrispondono a quanto già ampiamente illustrato nel primo volume: in sintesi, vi è la volontà di garantire un futuro alle preziose memorie collettive di una comunità, la quale anche attraverso la storia delle sue famiglie riconosce se stessa, le proprie vicende, i valori radicati nella sua autopercezione collettiva.
Lavori di questo tipo dovrebbero essere prescritti come obbligatori in tutti i paesi.
La doverosità di un lavoro come quello che si è accinto a elaborare Mariano Berti assume oggi i contorni dell’urgenza: la società delle comunicazioni ha finito con il privilegiare solo le informazioni fulminee, banalmente centrate sull’utilità dell’immediato, trasportate su supporti effimeri che non sapranno superare i decenni, destinate alla rapida distruzione. La patologia di massa rappresentata dalla perdita della memoria delle comunità ci costerà gravi rimproveri da parte delle future generazioni, che addebiteranno al nostro tempo una colpevole sbadatezza nei confronti del diritto alla memoria del loro passato, un diritto ad esse pertinente e che non ci appartiene esclusivamente.
Quei moderni amanuensi che sono i rari storici delle comunità locali hanno un compito straordinario: avere senso di responsabilità verso i cittadini del futuro, anche in vece di chi, pur istituzionalmente preposto, non se ne cura affatto, dimostrando caparbietà nel comprendere il proprio ruolo anche con il coraggio di aprire un fronte di ostilità verso quegli ignavi che scambiano questo compito socialmente elevatissimo per follia o per vacuità. E’ loro compito l’agire supportati da intima motivazione, dimostrando attraverso i loro studi di essere professionalmente aggiornati e di essere animati da una dedizione che trascenda il concetto di professione e tale che il loro ruolo venga percepito come socialmente utile.
Il contributo di memoria storica che ho l’onore di presentare si inquadra in questo contesto e risponde a questi requisiti. Con la serietà del ricercatore che consuma molte scarpe per portare la propria intelligenza dove si possono rintracciare le informazioni utili al proprio lavoro e con uno stile letterario sobrio e piacevole Mariano Berti dona ora alla comunità nella quale è operosamente inserito questo nuovo contributo, che potrà tornare utile, già oggi ma ancor più in futuro, alla storia del territorio comunale di Paese.
L’oggetto dell’indagine ha una sua valenza intrinseca. Se nella cultura dei Veneti l’entità familiare costituisce un valore in sé, allora è importante che la famiglia venga percepita anche sotto il profilo storico e non solo – come in genere si usa fare – nell’esclusiva dimensione sociologica. La sociologia dei gruppi familiari è giustamente indagata con una molteplicità di competenze e studi; molto meno si è fatto sotto il profilo storico. Abbonda sì la storia delle famiglie nobiliari, ma la prosopografia degli umili non è molto sviluppata e la stessa storia sociale è stata attenta indagatrice – quando ciò è avvenuto – dei movimenti collettivi come partiti, sindacati, associazionismo, cooperazione e così via, ma ha quasi sempre omesso di ricostruire la storia dei gruppi familiari, che a ragione costituiscono la primaria e naturale struttura comunitaria.
Perché, allora, non vedere nell’opera di Mariano Berti una proposta di metodologia storiografica per le nostre comunità locali?
E’ questo il congedo che ci sentiamo di rivolgere a questo lavoro serio, impegnativo, utile e perfino divertente per chi lo accosterà con curiosità intellettuale.
Ivano Sartor
Storico
“Famiglie d’altri tempi è un lavoro non solo prezioso ma perfino miracoloso: mi chiedo dove si possano raccogliere tante notizie diverse e metterle insieme con tanta pazienza e tanto amore. Soprattutto con un’adesione così cordiale al mondo che l’autore vuole raccontare, descrivere e memorizzare. Uno scrigno di tesori per la comunità in cui vive e che alimenta con linfa memoriale unica e irripetibile la sua scrittura.
Quest’opera costituisce un’esperienza preziosa sia per quanto riguarda la lettura di oggi che per la consultazione dei tempi a venire: nomi e soprannomi, mestieri e professioni, strade e luoghi…”.
Gian Domenico Mazzocato, scrittore
Volume 3
Mariano Berti, ama molto il territorio trevigiano e quindi cerca di ricostruirne la storia. Lo fa dal punto di vista del ripercorrere le vicende delle famiglie residenti sul territorio, spingendosi quanto più possibile in là nel tempo.
La fonte per eccellenza in questo tipo di ricerche è data dagli archivi parrocchiali, dal momento che per lungo tempo le parrocchie svolsero anche funzioni di stato civile e di anagrafe. Non a caso i primi dati documentali rilevati da Berti sono successivi al Concilio di Trento, concilio che impose ai parroci gli obblighi di residenza e di tenuta dei registri parrocchiali. A partire dal XVII secolo è dunque possibile allo studioso ricostruire le tappe fondamentali - la nascita, il battesimo, il matrimonio, la morte - della vita dei parrocchiani. Dati indubbiamente scarni, ma preziosi, specie se, come qualche volta capita, la solerzia del parroco abbia aggiunto qualche altra notizia, come per esempio la causa del decesso, molto importante per la definizione dello stato sociale del defunto e della sua famiglia.
Oltre il fatto meramente burocratico, il secolo XVII conosce anche il lento declino della proprietà nobiliare a favore della proprietà borghese. Ciò determina non pochi squilibri dell'assetto sociale.
La ricerca del Berti copre quindi un arco di secoli dal quale emergono, anche se esclusivamente dal punto di vista della composizione delle famiglie, alcuni dati strutturali utili a fungere da fondamento per altre, future ricerche storiche. Sono dati noti agli studiosi, ma la documentazione addotta dal Berti fornisce supporto alle tesi.
Il primo è un dato attinente alla demografìa quale risulta dal processo di incremento del numero dei figli accompagnato peraltro da un'elevata mortalità infantile. È però significativo e va dunque sottolineato, il numero delle morti prematuro delle madri di famiglia, spesso per parto, sicché le seconde nozze sono di gran lunga più frequenti per gli uomini che non per le donne. Il concetto di famiglia patriarcale trova, nel lavoro del Berti, la sua ragion d'essere piuttosto nelle ristrettezze economiche che non in particolari vincoli affettivi, com'è ormai convinzione della storiografia.
Il secondo dato strutturale è il riconoscimento dell'estrema miseria nella quale vivevano i contadini del luogo. Ciò era parzialmente dovuto a forme poco ortodosse di conduzione dei fondi o all'inerzia dei proprietari, ma essenzialmente erano dovute allo squilibrio tra il numero degli abitanti e la quantità di terra disponibile. È questo squilibrio a rendere pressoché obbligatorio l'estendersi di diverse pandemie, varie ma tutte collegate alle carenze igieniche e alla denutrizione.
Il terzo dato è la compatta presenza della struttura agricola, l'unica esistente in paese. Ciò spiega sia la presenza di malattie tipiche come la pellagra, sia la mancanza di alternative al lavoro agricolo. E' ovvio che questo dato di tipo sociale si collega direttamente all'aspetto demografico e giustifica ampiamente l'impossibilità di abbandonare il podere comunque lavorato e la famiglia d'origine, per quanto cattive fossero le condizioni e dell'uno e dell'altra.
L'alternativa, e questo è il quarto nodo strutturale, appare nel XIX secolo e si presenta con l'aspetto di una massiccia emigrazione verso l'estero, emigrazione alla quale accede un qualche membro di pressoché tutte le famiglie prese in esame. La cosa è nota; meno noto è - e qui il lavoro del Berti è veramente prezioso - che il fenomeno proseguì fino agli anni '60 del XX secolo avendo, nell'ultimo periodo, come mete privilegiate il Canada e l'Australia. L'emigrazione è sempre un fatto doloroso, certamente essendo stato maggiore in numero di quanti anche all'estero non fecero fortuna. Il loro sacrificio permise però una forte diminuzione della pressione demografica e costituì dunque il necessario prerequisito per l'avvio del processo di industrializzazione che ha trasformato l'economia e il volto medesimo di Paese.
Ernesto Brunetta
Storico
L’indagine capillare condotta da Mariano Berti sui cognomi di Paese non è soltanto un viaggio nel passato alla ricerca delle radici, ma è anche un viaggio nello spazio teso a ricostruire “per li rami” la fitta trama di rapporti parentali e sociali che si è creata nel tempo e come una grande rete avvolge il Vecchio e il Nuovo Mondo, la piccola patria natia e le mille strade della terra sulle quali la diaspora migratoria ha spinto per oltre un secolo i membri di molte famiglie.
Ogni capitolo dell’opera, corrispondente ad un singolo casato, è una vera guida nell’intreccio di genealogie, nella sequenza di eventi storici, nella selva rigogliosa di nomi e soprannomi, gentilizi e personali, su uno scenario in cui si sovrappongono e si fondono vicende individuali e collettive, fatti privati ed avvenimenti epocali.
Prende forma così, pagina su pagina, foto su foto, ricordo su ricordo un mosaico di afflato corale che delinea in modo emblematico lo sviluppo sociale, economico e culturale di un frammento tipico di territorio del Nord Est che in pochi anni, senza rinnegare il suo passato rurale, ha saputo crearsi un futuro invidiabile con un lavoro tenace che ha consentito il riscatto da una secolare situazione di marginalità e subalternità.
Emanuele Bellò
Glottologo, scrittore
Volume 4
Ricostruire puntigliosamente i vissuti, le storie, le vite di tante famiglie - come fa in questo volume Mariano Berti - potrebbe perfino sembrare oggi un lavoro interessante, curioso, ma fine a se stesso. Un lavoro che con grande acribia ripercorre le radici di tante comunità familiari togliendole dalla polvere del tempo e dalla smemoratezza delle generazioni più giovani. Per qualcuno potrebbe infatti apparire uno scavo profondo, ma poco significativo per lo spirito dei tempi presenti, molto appiattito, troppo appiattito sul presente ed assai poco interessato ai recuperi delle memorie locali o familiari. Non è un caso che la nostra epoca si proietti molto sul futuro, allunghi il presente ma dimentichi con facilità ogni discorso sulla provenienza, sulle radici, sui percorsi dei molti che ci hanno preceduto sulle strade del tempo.
Eppure lavori come questi, che potremmo definire di micro-storia, quella tanto amata e valorizzata dalla scuola braudeliana della nouvelle histoire, sono utili – e più di quanto si supponga – per più ragioni.
La prima è che, attraverso la storia delle famiglie, noi veniamo a conoscere le radici dei luoghi, dei territori. Facciamo cioè storia locale a tutti gli effetti. Diceva Frédèric Le Play, un sociologo francese ottocentesco (uno dei primi ad occuparsi di famiglia in particolare), che “i popoli sono formati non di individui ma di famiglie”. Coerente con questo suo pensiero, propone una metodologia di ricerca rigorosa che, dice, “deve penetrare in tutte la parti della casa, inventariare la mobilia, gli utensili, la biancheria e gli abiti, valutare gli immobili, l’ammontare delle somme disponibili, gli animali domestici, (…) seguire infine in dettaglio i lavori dei componenti la famiglia, tanto in casa quanto fuori casa (…). Ricerche ancora più delicate sono quelle che interessano la vita intellettuale e morale, la religione, l’educazione, gli svaghi, i sentimenti di parentela e di amicizia, i rapporti con i padroni, soci, domestici e apprendisti; infine i particolari riguardanti la storia di famiglia”. In effetti cos’è la famiglia se non un particolarissimo spazio fisico, relazionale e simbolico che producendo reti ed alleanze alla fine ricama tutti i tessuti sociali più ampi, riverberandosi sempre all’esterno di sé, nel bene e nel male, come sappiamo? Ecco perché ricostruire pazientemente i fili dei rapporti e dei legami familiari apre all’esterno più vasto e diventa storia collettiva, storia dei territori e degli eventi che più o meno velocemente li hanno mutati. Altri tempi, diciamo oggi quando parliamo del passato anche recente, proprio per sottolineare la corsa fatta e la grande diversità, perfino incommensurabile, che rende uniche le epoche. Eppure in quei tempi, oggi perfino incomprensibili, affondano le radici vive tante famiglie, tante comunità, tante trasformazioni. Sono quelle trasformazioni che hanno radicalmente cambiato la realtà veneta e trevigiana e che non hanno alle spalle pochi registi occulti, misteriosi ed onnipotenti, ma semplicemente sono stati prodotti nella faticosa quotidianità proprio dalla vitalità delle famiglie, tante famiglie come quelle di cui questo libro con dettaglio narra. Si compone una specie di storia dal basso, diffusa, molecolare, fatta di culture materiali ed affettive, di microcosmi relazionali che raramente si trovano sulle pagine dei libri di storia, perché sconosciuti, invisibili, silenziosi, (ritenuti) irrilevanti. Eppure il loro umile agire ha prodotto tante scansioni storiche, ha reso possibili tanti eventi importanti, ha implementato le mentalità e le sensibilità collettive di tante epoche.
C’è poi un secondo angolo di lettura con cui accogliere queste narrazioni familiari proposte. E’ il punto di vista delle famiglie stesse, delle loro risorse, dei loro progetti, delle loro articolazioni, delle loro demografie, delle loro antropologie. Certo, oggi in questa realtà culturalmente “liquida”, in cui tutto è provvisorio ed indefinito, parlare di famiglie assume un sapore un po’ retrò, se non anacronistico. La sensazione è che le famiglie del passato siano culturalmente lontane, lontanissime dal modo contemporaneo di declinare l’amore, la sessualità, la vita comune, la genitorialità, il matrimonio. La famiglia attuale è figlia dei sommovimenti culturali prodottisi negli anni Sessanta e Settanta e la sua destrutturazione è tale che ormai si parla di pluralizzazione delle forme familiari, cioè di modelli di vita affettiva liberamente molteplici e diversi. Viceversa le famiglie di ieri appaiono (appaiono, ma la realtà storiografica non è proprio questa…) compatte, monolitiche, solide, dalle molte certezze e dalle scarse varianze. “Molti poi il giorno appresso alla morte della moglie vanno in cerca di un’altra e, trascorso un mese necessario per le pratiche occorrenti per il matrimonio, si rimaritano; ne conosciamo alcuni che si sono rimaritati a così brevi intervalli quattro, cinque e anche sei volte”. Così scriveva, verso gli anni Ottanta dell’Ottocento, un medico che girava per le zone di Conegliano, Oderzo e Vittorio. Constatava con i propri occhi la grande povertà delle famiglie, la precarietà di tante esistenze, la durezza del vivere che da un lato rendeva le famiglie simili a delle imprese che dovevano barcamenarsi con le difficoltà del loro tempo, dall’altro – e di conseguenza – l’assenza di ciò che noi oggi (romanticamente) intendiamo come tenerezza, intimità, affettività: tra coniugi e tra genitori e figli (è quest’ultimo il sentimento dell’infanzia di cui parla Ariès). Ci si risposava velocemente proprio perché la moglie “serviva” per la gestione della casa e dei figli, punto e a capo. E se non c’erano separazioni e divorzi c’erano però la mortalità precoce (infantile e femminile) e le migrazioni per il mondo a spezzare dolorosamente famiglie, parentele, unioni coniugali.
Dietro o sotto le tante storie familiari raccolte e riportate non ci stanno solo eventi, genealogie, avvenimenti, date e fatti, ma anche speranze, progetti, gioie, sofferenze, sacrifici, scelte, cioè tutto il variegato ventaglio di tante parabole umane che si incontrano, si amano, accudiscono, costruiscono, si staccano, generano, lavorano. Senza saperlo, sperimentando la durezza della vita quotidiana, consumando nell’opacità tante esistenze, sanno però trasformare “il banale in sublime” (come diceva Thomas Mann) e sanno anche rendere l’estrema fragilità delle relazioni familiari in stabilità che sfida il tempo, proiettandosi nell’orizzonte della durata, facendosi insomma storia. Storia di famiglia e di famiglie, ma anche storia e storie di territori, di luoghi, di paesi, nonché storia di mutamenti e di trasformazioni.
Riprendendo l’intuizione di Le Play, possiamo allora dire che le nostre radici collettive stanno in queste narrazioni familiari, come d’altronde le nostre radici (genetiche, psicologiche, educative, sociali) stanno nella lunga filiera familiare che parte dai nostri genitori per correre a ritroso nel tempo. E come possiamo dire correttamente di conoscere noi stessi solo se ripercorriamo la storia trigenerazionale della nostra famiglia (come insegna la teoria sistemico-relazionale), così possiamo altrettanto correttamente dire di conoscere il nostro territorio, la nostra identità locale solo se conosciamo il suo passato e chi quel passato l’ha silenziosamente prodotto. Sono proprio queste – ed altre – famiglie ad aver forato i secoli partecipando ogni giorno alla società nuova che lentamente, impercettibilmente, pur si delineava nel cammino cronologico verso l’oggi.
Vittorio Filippi
Sociologo familista, docente di Sociologia a Venezia
INTRODUCTION
Nowadays, reconstructing the experiences, stories and lives of families - as Mariano Berti does in this book - would seem to be not only an interesting and odd task but would also be an end in itself. The task of tracing the roots of many families in a scrupulous way, by removing the dust of time and the bad memories of many young generations, may disclose deep foundations which may not be significant for the spirit of the present day due to a lack of interest in the recovery of local memories or family. It is no coincidence that our age is projected far into the future. However, this stretch easily leaves behind all discussions about the origin, roots and lives of many that have preceded us through history.
Yet works like these, which could be defined as “micro-history” and which are loved and appreciated by Braudeliane school of nouvelle histoire, are useful for many reasons.
The first reason is that through the history of families, we come to know about the roots of places and territories. Let’s search local history for all purposes: Frederic Le Play, a nineteenth-century French sociologist (one of the first to deal with families in particular) said, “People are formed not by individuals but by families.” Consistent with this thought, he proposes a methodology for rigorous research that says, "must penetrate all places of the house; the furniture, the tools, the laundry and the suits. It has to appraise the immovable properties, the amount of money available, pets, (…) to finally follow in detail the jobs of the members of the family, both at home and away (…). More detailed researches are the ones involving the intellectual and moral life, religion, education, entertainment, feelings of kinship and friendship, relationships with the masters, partners, servants and trainees; finally the history of family". In fact what is the family if not a particular physical, relational and symbolic space which, by producing nets and alliances, creates all social fabrics of society, reverberating always outside of itself, for better or for worse, as we know. That's why the patient reconstruction of the threads of relationship and family ties spreads itself to the outside world and it becomes collective history, history of the territories and of events which changes them. We say "Old times", even when we speak about the recent past, just to underline the happenings and the great, even incommensurable, differences which make the times unique. Yet in those incomprehensible times, lie the roots of many families, communities and transformations. It is those transformations which have radically changed the Venetian and Treviso reality, not hiding themselves behind a few factors, mysterious and omnipotent, but were simply produced by the vitality of families in their daily tiring life; many families like these are described in detail in the book.
It includes a kind of history from below, diffused, molecular, made of material and emotional cultures, of affective relationship of microcosms, rarely found in the pages of history books, because unknown, invisible, silent, (considered) irrelevant. Yet the humble task has produced many historical scans, made possible many important events, implemented the mentality and collective feelings of many eras.
These family narratives proposals can be viewed from another angle. It is the point of view of families themselves, their resources, their projects, their joints, their demographics and their anthropology. Certainly, today in this culturally "liquid" reality, where everything is provisional and indefinite, speaking about families assumes a taste of retro, if not anachronistic. The feeling is that the families of the past are culturally distant, very distant from the concurrent decline of love, sexuality, community life, parenthood and marriage. The present family is the result of cultural upheavals in the sixties and seventies and its dividing is such that we talk about pluralization of family forms, that is, of models of emotional life which are numerous and different. In contrast the families of yesterday appear (they appear, but the historiographic reality is not really this…) compact, monolithic, solid, with a lot of certainties and few changes.
"Many people after one day of their wife's death, look for another woman and, after one month for the necessary procedure for the marriage, get married again; we know some people who got married even four, five, six times in a short time".
This is what a doctor living in the surroundings of Conegliano, Oderzo and Vittorio wrote in the Eighties of the Nineteenth Century. He saw with his own eyes the great poverty of the families, the precariousness of so many existences, the hardship of the living that made the families similar to the enterprises which had to manage with the difficulties of their time on one side and on the other – as a consequence – with the absence of what we mean today (romantically) by tenderness, intimacy, affection among married couples and between parents and children (this is the feeling of infancy which Aries speaks about). People quickly remarried only because they needed a wife to manage the house and the children. And if there were no separations and divorces, there was however the premature mortality (infant and female) and the migrations around the world breaking painfully families, relatives and married couples.
Behind or under so many family stories, there are not only events, genealogies, happenings, dates and facts, but also hopes, projects, joys, sufferings, sacrifices, choices, that is, the whole variety of so many human parables which meet each other, love each other, produce and work. Unknowingly, by experiencing the hardship of daily life and by consuming in the opacity so many lives, they know how to transform "the trivial into the sublime" (as Thomas Mann said) and they also know how to transform the extreme fragility of family relationships into stability that defies time, projecting itself into the horizon of duration, creating history: not only history of family and families but also history and stories of lands, places, countries as well as history of changes and transformations.
Based on the insight of Le Play, we can say that our collective roots are in these family stories, and indeed our roots (genetic, psychological, educational, and social) are in the long family history starting from our parents and running back in time. And as we can correctly say that we know ourselves only by coming back to the three-generation history of our family (as the systemic-relational theory teaches), we can also correctly say that we know our land, our local identity only by knowing their past and who quietly produced that past. It is these families – and others - who left a mark in the centuries by participating every day in the new society that slowly and imperceptibly has been delineated in the chronological journey towards today.
Vittorio Filippi
Family Sociologist, Sociology Teacher in Venice