Francescato ("Cestella")

La famiglia Francescato (Cestella)

Questa è la storia di una famiglia trevigiana che ha lasciato il suo paese, Santa Cristina di Quinto,
nel periodo della Grande Crisi di fine Ottocento, per cercare fortuna in Brasile e, anche se a prezzo
di innumerevoli sacrifici, possiamo dire che l’abbia trovata: la famiglia Francescato detta Cestella.
Il nomignolo è fatto risalire a un commerciante o fabbricante di ceste.
Coloro che emigravano lasciavano tutto convinti che li aspettasse una vita di benessere, quello che
avevano visto soltanto nei loro padroni, invece, andavano incontro a un avvenire molto incerto,
soprattutto andando in Brasile, che proprio in quel periodo aboliva la schiavitù. I Veneti, in
particolare, erano famosi per la loro laboriosità, per questo erano ricercati. Le notizie dicevano che
là avrebbero fatto una vita da signori, invece, le loro aspettative si rivelarono subito una grande
illusione. Partirono in tanti, tutta gente che sapeva fare bene un unico mestiere: il contadino.
In quel periodo il fenomeno migratorio assunse la portata da esodo biblico. Non si andava soltanto
in Brasile o in Argentina, ma anche negli U.S.A. e nelle altre nazioni europee. A sostenere il
fiorente mercato verso le favolose Americhe c’era una fitta rete di agenti ben pagati dai latifondisti
e dalle compagnie di navigazione. Già il lungo viaggio su carrette del mare era una pena, all’arrivo
poi li attendevano giorni di cammino in mezzo alla foresta per arrivare a disboscare al fine di
liberare la terra da coltivare. I nuovi arrivati erano visti come invasori dagli indios che vivevano
ancora da selvaggi. Venivano a trovarsi in un mondo dove nessuna differenza esisteva tra uomini e
animali, alla mercé di gente senza scrupoli da cui bisognava imparare a guardarsi.
Allettato da quel miraggio, colse l’opportunità anche Luigi Francesco Francescato di Santa Cristina
di Quinto di Treviso, figlio di Giovanni Maria e di Antonia Cavallin, nato il 19 marzo 1835. Alla
partenza, il 30 novembre 1879, non era più giovanissimo essendo sposato da ventuno anni, ossia dal
20 gennaio 1858, con Antonia Santinon di Morgano (1835).
[…] Non aveva fatto la guerra Luigi, ma combatteva ogni giorno contro le avversità della vita
usando la zappa, la forca, l’aratro, mestieri primitivi ma che gli permettevano di sentirsi uomo, con
le sue responsabilità di buon padre di famiglia. Partì senza essere certo di rivedere i suoi affetti,
lacerato nell’anima, con l’obiettivo di dare una svolta cruciale alla sua esistenza e a quella dei suoi
cari. Ciò alleviava lo strappo e metteva in secondo ordine i timori che lo tormentavano. Prese il
vapore, ma non da solo, con lui viaggiarono pure la ventenne figlia, Maria Margherita, il genero
Giuseppe Fighera di Istrana, di ventotto anni, e il loro bimbo Pietro con meno di un anno.
L’imbarco avvenne al porto di Genova, dopo una lunga giornata di treno. Fu l’ultima volta che
Antonia Santinon vide la figlia, perché il suo destino era ormai segnato.
[…] (In Brasile) Attorno alla chiesetta sorse un piccolo cimitero, dopo che nel 1893 Luigi vi
seppellì il nipotino Jacó, figlio di Antonio Domenico. La scelta di dargli sepoltura su quel terreno fu
dettata dal fatto che lì vicino non c’erano altri cimiteri. L’unico camposanto si trovava troppo
lontano, nel centro della città di Santa Maria. Dopo quel precedente, gli amici e i conoscenti gli
chiesero di poter inumare anche i loro cari. Luigi li accontentò, e fu così che sorse il cimitero São
José, che nel 1941 fu espropriato e dichiarato bene pubblico dall’amministrazione comunale. Luigi,
tuttavia, per quell’esproprio non ottenne un centesimo. Sei anni dopo, nel 1947, la famiglia donò al
Comune un altro pezzo di terreno per il suo ampliamento. […]
(la straordinaria epopea di questa famiglia si trova nel 5° vol. Famiglie d’altri tempi – Nato all’aurora,
2023, reperibile online)

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